Io credo che i piaceri della vita siano fatti di piccole cose, l’importante è saperle vedere ed apprezzare per la loro elegante semplicità. Sono un minimalista. Pur essendo affascinato dal barocco, poi mi piacciono linee, semplici, essenziali ed armoniche. Sono un discreto osservatore e mi piace alle volte perdermi in un dettaglio in una linea curva, in una nota cromatica, nel calore di un raggio di sole, nel profumo delle piante che mi circondano mentre corro in un parco…sono le piccole cose quelle che mi trasferiscono emozione, mi danno serenità e mi fanno apprezzare il mondo nonostante tutto. Alle volte si è addirittura felici, benchè, come mi è capitato di scrivere ad una cara amica, cerco di tendere alla serenità più che alla felicità, questa è episodica, mentre la serenità è qualcosa di più duraturo e presuppone un equilibrio più stabile….
Uno dei piaceri delle piccole cose è sta anche nella condivisione, i momenti piacevoli lo sono ancora di più per me se li posso condividere con qualcun altro, alle volte direttamente vivendo l’esperienza insieme, alle volte la condivisione avviene con il racconto, come in questo caso.
Tra i piccoli piaceri della vita di certo faccio rientrare a una buona cena, mi sembra superfluo indicare che sono ovviamente un’estimatore di una filosofia slow, credo lo si intuisca anche solo dalle poche righe qui sopra. Mi piace cenare sempre in posti diversi e mi piace ricercare luoghi in cui la cena riesca a coinvolgere i sensi a tutto tondo, perchè se pensate che il cibo sia solo una questione gustativa, credo che vi stiate perdendo qualcosa. Il concetto di cena è legato alla Qualità e di certo non alla quantità. Di norma preferisco sacrificare la frequenza sull’altare della qualità, ovvero, meno cene, ma che siano degne di nota….
Nello scorso weekend l’occasione era propizia, anche se di norma non è che attenda una celebrazione particolare per dedicarmi ad una buona cena, è sufficiente avere la voglia ed il tempo per dedicarcisi e un qualunque momento può essere opportuno e propizio. Dicevo: l’occasione era propizia per far visita ad un ristorante che si trova dalle mie parti e che mi era stato caldamente raccomandato da un collega e amico che condivide fors’anche più di me il piacere per la buona cucina e per ciò che la circonda…
Vi accompagno ora nel viaggio attraverso i cinque sensi che è stata per me, e per l’angelo biondo che ha condiviso con me questo piacere, la cena di venerdì scorso…
Il locale è ricavato da quel che originariamente era una scuderia per i cavalli, ma se non lo sapete difficilmente ve ne accorgerete, in quanto ciò che resta di quest’antico locale sono gli anelli metallici murati alle pareti in pietra imbiancate a calce che servivano per legare appunto le cavezze dei cavalli e le volte a botte con i mattoni in vista. Il pavimento è di uno splendido cotto con le fughe molto ampie (almeno un paio di centimetri) e leggermente concave. Alle pareti delle gerle metalliche che richiamano quelle utilizzate per mettere la biada destinata ai cavalli hanno al loro interno delle splendide composizioni di fiori secchi con tonalità bruciate tipiche dell’autunno. La sala è abbastanza ampia ed inframezzata da colonne, i tavoli pochi e tutti nella versione “abbeilles” come le sedie che li contornano hanno tovaglie nei toni dell’ecrù e del beige. Le sedie hanno invece un “vestito” bianco con delicate lavorazioni in leggero rilievo. Vi sono pochi tavoli e ben distanziati. Una leggera musica di sottofondo quasi impercettibile si diffonde nella sala, mentre una cameriera vestita con un pantalone nero, una camicia bianca con gilet nero ed un lungo grembiule piano color amaranto, di gusto più tipicamente mitteleuropeo, ci accompagna al tavolo. Subito viene portato un piccolo sgabello (alto circa una spanna) su cui è possibile appoggiare la propria borsa e a seguire viene accesa la candela che adorna il tavolo.
Ecco giungere le liste: il menù, la carta dei vini e la carta delle acque e delle birre. Dopo una breve consultazione optiamo entrambi per il menù degustazione “di terra”, anche se anche quello “di mare” era altrettanto invitante, ma una scelta la si deve pur fare no….
La scelta dell’acqua è ovviamente abbastanza semplice, optiamo per una “Surgiva” frizzante. La scelta del vino è assai più difficile ed impegnativa, sono un amante del buon vino, per l’occhio inesperto potrei sembrare quasi un intenditore, diciamo che mi interesso e cerco di capire, ho la consapevolezza di essere ignorante e l’umiltà di saper imparare ogni giorno qualcosa di nuovo. Se in altre occasioni avrei azzardato una scelta ed un’accostamento, in quest’occasione mi sembra più opportuno chiedere consiglio al somellier, anche considerato che la scelta del menù degustazione mi fa pensare che il ristorante stesso abbia magari già pensato ad un abbinamento. Vengo subito smentito, ma la somellier sa guidarmi sapientemente nella scelta sino ad arrivare ad un Roero, vino a base nebbiolo, della azienda vitivinicola Negro del 2001. Il vino si chiama “Sudisfà” che è la parola piemontese che indica “Soddisfatto”, questo vino infatti non viene realizzato tutti gli anni, ma solamente nelle annate in cui l’enologo è pienamente soddisfatto della qualità dell’uva ottenuta. Lo assaggio: la bottiglia è a posto e dal primo impatto capisco che non sarà solo l’enologo ad essere soddisfatto, i profumi sono intensi ed inebrianti, la gradazione alcolica è elevata, siamo a 14,5° indicati in etichetta, al naso però non la si percepisce così intensa e non disturba affatto, colpisce molto il profumo di liquirizia e di un qualche frutto rosso, ma che la mia ignoranza e poca memoria olfattiva non mi permette di identificare chiaramente, pur essendo un 2001 non allappa per nulla…lo lasciamo un po’ riposare negli ampi calici in cui ci è stato servito, già sento che ci darà grandi soddisfazioni nel corso della cena, specie in abbinamento ad alcuni piatti…l’acquolina si fa intensa ed ora metre scrivo al solo pensiero sento un richiamo delle sensazioni, da brividi…
Nell’attesa del primo antipasto ci viene portato un pre-antipasto, una terrina di coniglio, accompagnata con una salsina di aceto balsamico, nel mentre viene portato anche in tavola il piatto con il pane: del pane alle noci, una lingua di suocera, un pane all’uva, una focaccia aromatizzata, del pane bianco e grissini fatti a mano con lievito naturale, ad ingannare l’attesa si aggiunge anche una mousse di burro alle erbe che ben si sposa con le tipologie di pane a nostra disposizione e che ci permette anche di godere del piattino in ceramica bianca a forma d’onda e del coltellino d’argento per spalmare il burro sul pane. Arriva il primo antipasto in un piatto quadrato di di vetro bianco smerigliato: dei filettini di coniglio, accompagnati con dei frammenti di olive taggiasche e pomodorini disidratati e sfilacciati, il tutto depositato su una “coulisse” (una cremina che disegna una tela) di pesca noce…sapori sublimi che ben si sposano anche con il vino che prosegue a dare soddisfazioni e con il bichiere che resta magicamente pieno grazie al sapiente e assai discreto lavoro delle cameriere che ci servono.
Il secondo antipasto è prossimo all’arrivo, conterebbe del tartufo nero, ma so che l’angelo biondo non apprezza, lo facciamo presente, ma la cameriera invita a provare comunque, assicurando che è talmente delicato da essere impercettibile o quasi, al più, nel caso proprio non lo gradisca, le verrà poi sostituito con un’ altra portata. Arriva quindi questo piccolo tortino fatto di pasta brisee contenente una composta di porri, lo accompagna una crema al cardo e formaggio caprino in una ciotola a parte e lo contorna questa salsina al tartufo nero. Siamo entrambi estasiati, specie l’angelo biondo che mai avrebbe creduto che un piatto contenente del tartufo nero le sarebbe potuto piacere così. Anche la cameriera apprezza la nostra soddisfazione, del resto solo gli stolti non cambiano mai idea, no?
La conversazione è piacevole, ma su questo non nutrivo dubbio alcuno, e arriva così l’ultimo antipasto su un piatto lungo e rettangolare: sul lato corto e al centro uno spiedino che alterna carne (vi dirò dopo quale) e patate, sull’altro lato dei fagiolini saltati con olio di noci e un gelato al prezzemolo. Su uno dei lati lunghi una granella di noci, sull’altro lato lungo scaglie di bottarga di muggine e cubetti di gelatina di ribes, trasversalmente una cialda sottilissima e croccante alla salvia. Semplicemente divino, sorprendente il gelato al prezzemolo, che ben si sposava con la carne, che il giorno dopo Laura avrebbe scoperto essere lingua di vitello, se se ne fosse accorta prima mai l’avrebbe mangiata, ma invece l’ha pure trovata molto buona, e lo era….molti storceranno il naso, ma posso assicurare che era così delicata da sciogliersi in bocca e con un gusto molto morbido e poco aggressivo, sia alle papille che all’olfatto…la presentazione poi aggiungeva di certo qualcosa. Superba la cialda alla salvia.
Gli antipasti son finiti ed eccoci al primo, di spazio ce ne ancora, le porzioni precedenti erano ben calibrate per lasciar il giusto spazio a tutto e permettere di arrivare al termine sazi e soddisfatti, ma non “ingolfati”…
Un piatto rettangolare di porcellana bianca ospita dei panzerotti ai funghi porcini freschi, contornati da una crema al parmigiano e accompagnati da una salsa al mirtillo ed alcuni mirtilli freschi…sublimi…
Infine il secondo, uno stracotto di scaramella al nebbiolo accompagnato da cipolline caramellate, meno elaborato come piatto rispetto ai precedenti, ma altrettanto buono e soprattutto è entrato in “sinergia” con il roero che ci ha accompagnato durante il pasto e si sono reciprocamente esaltati.
Siamo al dolce, ma con nostro stupore arriva un pre-dolce, un delicato sorbetto all’uva fragola. Golosissimo, fresco e piacevolmente acidulo, quel che ci voleva per prepararci al gran finale: un piccolo dolce al cioccolato con un cuore di cioccolato fuso leggermente spolverato di zucchero a velo. Anche lui presentato su un piatto rettangolare lungo e bianco, al centro fanno bella mostra di se due piccole “ganache” allo zenzero fresco e a destra un minicestino di cioccolato fondente con piccoli frammenti di ananas fresco leggermente carammellato, ad accompagnare una piccola granita al frutto della passione che permette di intermezzare e rinfrescare il palato , sposandosi squisitamente, nel tripudio di cacao e cioccolato che danzava tra il piatto e le nostre labbra…
A questo punto mancava soltanto un buon caffè, almeno per me. Il caffè arriva ed è accompagnato da una piccola scacchiera formata da ciotoline quadrate contenenti diversi tipi di zucchero, con delle minuscole e graziosissime palettine di porcellana bianca, insieme anche una piccola alzata in argento con un centrino bianco che contiene la classica ciliegina sulla torta: degli “sweeties” costituiti da piccoli baci di dama, brutti e buoni, gelatine alla mora con una perla di cioccolato fondente al centro, fragole fresche semi-glassate al cioccolato e con una “sabbiatura” di zucchero e splendidi alchechengi anch’essi semiglassati al cioccolato. Buoni? E che ve lo dico a fare…. ^_^
Il caffè, infine, oltre ad essere un buon caffè era anche servito in un piccolo gioiello di design della Villeroy & Boch, una tazzina in porcellana bianca che sembra essere formata da una vela arrotolata posata su un’onda bianca, il caffè sarebbe comunque stato buono, ma questo dettaglio ha di certo aggiunto un piacere in più e mi ha fatto gustare il caffè anche con gli occhi e con le dita, perchè i dettagli non sono sempre trascurabili…..
Makalu
Continua a leggere →